Come favorire la comunicazione fra adulti e bambini/e

Una stanza di terapia. Un ragazzo, quattordicenne. Una terapeuta, quasi quarantenne. Primo colloquio. Disturbi del comportamento, le hanno detto. Un tipo difficile, hanno aggiunto. Sono seduti lì dentro da una ventina di minuti. Presentazioni reciproche, conoscenza iniziale. Qualche domanda per rompere il ghiaccio. Silenzi. Sorrisi. Occhi negli occhi per trasmettere interesse, autentica curiosità. Poi una rivelazione. Inattesa. Nasce spontaneo il quesito:

– Ne avevi mai parlato a qualcuno prima d’ora?

– No

Pausa. Riflessione. Perché? La voce esce prima che il pensiero si concluda:

– Perché?

– Beh, nessuno me lo aveva mai chiesto prima.

Il verbo comunicare richiama nella sua radice etimologica alla condivisione, al fare insieme. Frequentemente, tuttavia, per comunicazione si intende una mera trasmissione di informazioni da una parte ad un’altra, da un interlocutore all’altro. Ne viene persa, così, la vera essenza e, quindi, il senso più intimo e profondo. Ecco allora che la comunicazione può farsi scarna, sterile. Riconoscere pensieri ed emozioni, divenirne consapevoli e scegliere di tradurli in parola richiede un investimento, in termini di fatica ed energia: perché una bocca dovrebbe sforzarsi di parlare se non è certa di avere un orecchio pronto ad ascoltarla? È questo ciò che accade a bambini/e e adolescenti che si interfacciano con il mondo adulto, tanto impegnato ad interrogarsi sul modo più giusto di essere genitore/insegnante/figura di riferimento da dimenticarsi di chiedere a chi ha di fronte un forse banale ma fondamentale”come stai oggi”?

Ascoltare implica accogliere e rispettare i tempi dell’altro, significa stare con, piuttosto che cercare soluzioni o risposte a problematiche esistenti, richiede pazienza e attenzione. La centratura deve essere sul modo in cui l’altro sta costruendo la propria realtà e sta provando a muoversi in essa. L’ ascolto è fatto di attesa e di pause. Di presenza, talvolta silenziosa. Vuol dire far sentire all’altro che c’è uno spazio di accoglienza senza data di scadenza. Vuol dire anche non dare mai per scontato che ciò che appare ovvio agli occhi di qualcuno lo sia per chiunque, sempre: capita che alcune alternative non siano percorribili per alcune persone mentre per altre lo diverranno poi, che ciò che appare arduo a qualcuno risulti agevole per altri, in un continuo e costante mutare.

Nella relazione fra adulti e minori questo aspetto è essenziale:n on si può prescindere dal provare ad assumere il punto di vista dell’altro, anche se questo implica, per esempio, guardare il mondo attraverso gli occhiali minuscoli di una bambina di quattro anni. Il mondo, visto da lì, è diverso e, sevogliamo essere utili, non possiamo pensare di fare affidamento su istruzioni preconfezionate, in quanto, proprio perché assolute, non si adeguano alle necessità individuali di nessuno. Certo, intesa in questi termini, la comunicazione implica una componente di curiosità profonda e rispettosa, che, al pari di una navigazione fuori mappa, può inizialmente spaventare ma appare come l’unico modo per poter scoprire territori nuovi e sconosciuti  imparare ad apprezzarli e proseguire ancora lungo un percorso sconfinato. L’alternativa di un manuale d istruzioni offre apparentemente maggiore sicurezza ma, a ben guardare, confina ognuno all’interno di un porto  ormeggiato saldamente al molo, da cui non può fare altro che osservare da lontano l’orizzonte. Senza riuscire mai a vederlo davvero.