La parola trauma viene dal greco perforare, danneggiare, rovinare. È un termine con duplice riferimento: ad una ferita con lacerazione e agli effetti di uno shock violento su tutto l’organismo. Il trauma psicologico può essere visto come un momento di rottura, un evento negativo che entra nella vita di una persona con un’intensità tale da non permetterle di farvi fronte.
Non serve essere veterani di guerra o vittime di tortura o di una catastrofe naturale di grandi dimensioni per aver subito un trauma, è un’esperienza che può irrompere nella nostra quotidianità: un incidente, una malattia, un lutto, la perdita di qualcosa che diamo per scontato (una relazione, la salute, il lavoro). Un abuso o una violenza possono accadere a noi o alle persone che ci circondano e intaccare la nostra capacità di progettare, di avere relazioni soddisfacenti e di godere delle cose che prima coloravano la nostra esistenza.
L’insorgere delle conseguenze psicologiche di un trauma e la loro gravità dipendono, oltre che dalle caratteristiche dell’evento, dall’esperienza soggettiva della persona e dalle risorse personali e sociali che ha a disposizione per affrontarlo. La resilienza è definita come la capacità di attraversare gli eventi traumatici senza spezzarsi e rappresenta non tanto la capacità di ritornare allo stato precedente al trauma, quanto quella di ripristinare un nuovo “equilibrio”, che può basarsi su assetti diversi da quelli precedenti. Si può definire come la capacità di elaborazione attiva dei significati in situazioni complesse e si traduce nella possibilità di “vivere con” l’evento avverso, integrandolo nella propria “storia di vita”, nella propria “biografia psicologica”, e quindi di non essere più costretti a “ri-vivere attraverso”, a “vivere solo”, a “vivere contro” tale evento.
Lavorare per prevenire il trauma vuol dire da un lato lavorare a livello di sensibilizzazione sociale, culturale e politica affinchè si modifichino le condizioni che ad oggi costituiscono humus traumatico, e dall’altro sostenere la capacità delle persone di ascoltare i propri bisogni, di conoscere e coltivare le proprie potenzialità, di prendersi cura di sè, di incontrare le altre persone in una rete di relazioni soddisfacenti.
Il lavoro con il trauma non può prescindere dal riconoscimento delle responsabilità: ve ne sono di dirette o indirette nella maggior parte di situazioni traumatiche (nelle violenze interpersonali in primis, ma anche ad esempio negli incidenti stradali e sul lavoro, nei disastri ambientali, nelle situazioni di grave disagio sociale, etc).
Lavorare clinicamente con il trauma non vuol dire applicare tecniche per estirpare il trauma dalle persone, ma relazionarsi con persone che hanno perso la capacità di dare un senso alla propria vita, aiutandole a ripristinare una base sicura e una sicurezza affettiva dalla quale esplorare il dolore, accompagnandole nel loro percorso di attribuzione di un significato a quanto accaduto, sostenendone la voglia e la capacità di guardare avanti, supportandone la fiducia in se stessi, negli altri e nella
possibilità di ricostruire a partire da quello che è andato perduto.
La resilienza è definita come la capacità di attraversare gli eventi traumatici senza spezzarsi e rappresenta non tanto la capacità di ritornare allo stato precedente al trauma, quanto quella di ripristinare un nuovo “equilibrio”, che può basarsi su assetti diversi da quelli precedenti. Si può definire come la capacità di elaborazione attiva dei significati in situazioni complesse e si traduce nella possibilità di “vivere con” l’evento avverso, integrandolo nella propria “storia di vita”, nella propria “biografia psicologica”, e quindi di non essere più costretti a “ri-vivere attraverso”, a “vivere solo”, a “vivere contro” tale evento. Lavorare per prevenire il trauma vuol dire da un lato lavorare a livello di sensibilizzazione sociale, culturale e politica affinchè si modifichino le condizioni che ad oggi costituiscono humus traumatico, e dall’altro sostenere la capacità delle persone di ascoltare i propri bisogni, di conoscere e coltivare le proprie potenzialità, di prendersi cura di sè, di incontrare le altre persone in una rete di relazioni soddisfacenti. Il lavoro con il trauma non può prescindere dal riconoscimento delle responsabilità: ve ne sono di dirette o indirette nella maggior parte di situazioni traumatiche (nelle violenze interpersonali in primis, ma anche ad esempio negli incidenti stradali e sul lavoro, nei disastri ambientali, nelle situazioni di grave disagio sociale, etc). Lavorare clinicamente con il trauma non vuol dire applicare tecniche per estirpare il trauma dalle persone, ma relazionarsi con persone che hanno perso la capacità di dare un senso alla propria vita, aiutandole a ripristinare una base sicura e una sicurezza affettiva dalla quale esplorare il dolore, accompagnandole nel loro percorso di attribuzione di un significato a quanto accaduto, sostenendone la voglia e la capacità di guardare avanti, supportandone la fiducia in se stessi, negli altri e nella possibilità di ricostruire a partire da quello che è andato perduto.